Le Sezioni Unite dirimono il contrasto giurisprudenziale sulla sussidiarietà (art. 2042 c.c.) nell'azione di ingiustificato arricchimento.

Con la sentenza 33954/2023 (rel. Criscuolo), le Sezioni Unite affermano, in materia di azione di ingiustificato arricchimento, che «ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all'art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l'esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall'illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l'ordine pubblico».

In primo luogo, viene superato l'orientamento tradizionale in base al quale nella valutazione della sussidiarietà nell'ambito dell'azione di ingiustificato arricchimento si dovrebbe distinguere tra casi che hanno sullo sfondo azioni principali fondate su un titolo contrattuale, ed altre che, invece, si fondano su clausole generali. In quest'ultima ipotesi, si sosteneva che l'astratta proponibilità dell'azione di arricchimento dovesse essere valutata esaminando anche nel merito la domanda principale.

La Corte, inoltre, individua in modo chiaro, fra le varie ricostruzioni proposte, la ratio cui è riconducibile l'azione di ingiustificato arricchimento, la quale viene colta nella volontà di «preservare la certezza del diritto ed evitare elusioni della norma, ammettendo che si possa agire con l'azione di arricchimento anche nei casi in cui la domanda principale non sia stata coltivata o sia andata perduta per il comportamento colpevole del titolare».

Maggiori perplessità suscita l'enucleazione giurisprudenziale della categoria della carenza c.d. "ab origine" del titolo, che, distinguendosi dalla mancata prova, legittimerebbe l'esperimento dell'actio de rem in verso, sia allorché l'azione abbia sullo sfondo una vicenda contrattuale che aquiliana.

Riservandoci, come detto, maggiori approfondimenti, segnaliamo la difficoltà rispetto ai principi generali che regolano il processo civile, a cogliere la ratio che distingua l'inesistenza c.d. "ab origine" dalla c.d. "mancata prova", e ciò in ragione del fatto che, come noto, fatti non provati sono da ritenersi ad ogni effetto giuridicamente inesistenti.

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